Nell'estate del 1998, un gruppo di 15 persone: impiegati, professionisti e studenti, di età compresa tra i 18 ed i 50 anni, ha deciso di trascorrere, completamente autospesati, le proprie vacanze in un paese povero a stretto contatto con la gente del posto. Espresso in questi termini potrebbe sembrare lo slogan pubblicitario di una agenzia specializzata nel turismo alternativo.
L'organizzazione che ha permesso questa particolare esperienza è in realtà una O.N.G. riconosciuta idonea dal ministero degli Affari Esteri a realizzare progetti nei paesi in via di sviluppo, il V.I.S. (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo) ispirata al carisma di Don Bosco, che affianca i Salesiani nella cooperazione allo sviluppo dei paesi poveri.
Cosa ci ha portati in Angola
Le motivazioni che ci hanno spinto ad intraprendere questo viaggio, che non sarà soltanto
fisico, ma anche e soprattutto interiore, sono state diverse.
Da una parte, la richiesta dei missionari perché la gente non si senta sola ed abbandonata e
possa fare l'esperienza della solidarietà umana e cristiana, il desiderio poi di scoprire le
cause della povertà, con l'intento di individuare insieme agli interessati, possibili progetti
di sviluppo da realizzare, la conoscenza di altre culture e la ricerca di rapporti umani da alimentare
nel tempo per uno scambio delle rispettive ricchezze umane. La motivazione più profonda e
più vera che ha fatto scegliere ad ognuno di noi di stare per un mese alla "
scuola dei poveri", è stata senz'altro la ricerca di una
riprogettazione della propria vita in una dimensione di solidarietà mondiale nella quale
verificare la qualità delle nostre scelte ed il loro spessore.
Sostenuti da questa spinta, siamo partiti per Luanda, capitale dell'Angola, più esattamente per il poverissimo quartiere di "Lixeira", letteralmente: "Immondezzaio", dove in gruppo, sospinti dagli stessi intenti, abbiamo prima di tutto imparato ad accettarci e non semplicemente a tollerarci. Siamo stati ospiti della comunità salesiana che da anni vive ed opera all'interno di Lixeira tra la gente, dove 700.000 persone vivono in baracche costruite con rifiuti di ogni genere: lamiere, pezzi di automobili e materiali di risulta, prive di fogne, di acqua, di assistenza sanitaria e scolastica (è presente una sola scuola). Di fronte questo tipo di realtà che nessuno di noi avrebbe mai immaginato di scoprire, inizialmente ci siamo sentiti impotenti ed abbiamo iniziato a chiederci a cosa mai sarebbe servita la nostra presenza in una paese dove nessuna garanzia è assicurata alla gente, neanche la sopravvivenza fino al giorno successivo.
Con la gente di Luanda, abbiamo cominciato mano a mano, prima a sfiorare e poi sempre di più a toccare con mano, quello che sarebbe stato il cuore della nostra esperienza e che avrebbe dato un senso a ciò che avremmo vissuto. Ci siamo calati nella loro quotidianità e, in modo particolare abbiamo condiviso le attività di animazione rivolte dei ragazzi di strada. Con i numerosi animatori del posto, giovani che, pur vivendo nelle medesime condizioni di povertà degli altri, hanno scelto di donare il loro tempo ai tanti ragazzi e bambini che ogni giorno affollano le strade polverose di Lixeira.
In poco tempo i nostri pregiudizi, i nostri luoghi comuni e la tentazione più grande,
quella dell'efficientismo e di voler necessariamente risolvere i problemi a tutti i costi, sono stati smantellati uno
ad uno dalla realtà che giorno per giorno abbiamo percepito.
Il nostro senso di impotenza ha così iniziato ad assumere un altro volto, andando oltre le
carenze strutturali e le estreme situazioni di degrado sociale, abbiamo iniziato a vedere,
confrontandoci e vivendo un po' della loro vita, che quelle persone che noi avevamo accanto, che ci
hanno spalancato le porte delle loro case e del loro cuore, non erano semplicemente dei "tubi
digerenti" da sfamare, ma persone come noi, belle, brutte, simpatiche o antipatiche, che
possiedono tanta passione per la vita e voglia di ricominciare ogni giorno nonostante la mancanza di
tutte quelle sicurezze che ci sembrano essere essenziali per la nostra sopravvivenza: conto in banca,
posto fisso, casa di proprietà.
Il ritorno da Luanda con maggiore consapevolezza
Tornati dall'Angola. abbiamo ricominciato la nostra vita di sempre, con la consapevolezza che la fonte della felicità non va' ricercata nel possesso delle cose, pur importanti e necessarie alla vita, ma soprattutto nel profondo del nostro cuore, quando prendiamo in mano la nostra vita e ne facciamo dono agli altri, è l'uomo e non il denaro l'artefice dello sviluppo umano, e questa forse è la cosa più bella che possa esistere in ogni cultura. Infatti è una scelta possibile a tutti, ai ricchi e ai poveri, ma non è possibile a chi vive fuori da sé stesso, e fonda il valore della propria vita sulle cose. La risposta alla nostra domanda iniziale, piano piano è venuta quindi a delinearsi con chiarezza: noi non potremo mai risolvere i problemi a livello strutturale, la guerra, la povertà continueranno ancora ad esserci per lungo tempo, ma quello che nessuna guerra o povertà potrà mai toglierci è la realizzazione della nostra vita incontrando l'altro: "Montagna e montagna non si incontreranno mai, ma uomo e uomo un giorno si incontreranno", questo dice un antico proverbio angolano, e questa è davvero la scoperta più preziosa che ci è stata donata dalla nostra esperienza e che abbiamo il desiderio di raccontare a tutti.
Per questa ragione abbiamo deciso poi, tornati nella nostra "normalità" di costituire un gruppo che abbia lo scopo di comunicare e testimoniare quello che abbiamo vissuto, ciò che abbiamo udito, ciò che abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che di bello e scandaloso abbiamo ammirato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia che la dignità dell'uomo non dipende dal vestito che porta o dalle cose che possiede, inoltre che è possibile fare qualche cosa per dare un senso alla vita, anche se le situazioni di ingiustizia sembrano non dover cambiare: " se qualcuno ti chiede un bicchiere di acqua non chiederti se gli toglierà la sete, tu daglielo".
Questo ci è stato spesso detto dai missionari che abbiamo incontrato e questa è la
verità che noi abbiamo incontrato e di cui siamo testimoni. Per prima cosa quindi, cercando di
creare un ponte di solidarietà umana con la Comunità di Lixeira dove abbiamo vissuto,
abbiamo realizzato un giornale di collegamento chiamato "O Pensador" in riferimento ad uno
dei simboli della cultura angolana.
La loro risposta è stato un giornale chiamato
"Pastasciutta", uno dei simboli del nostro paese, conosciuto in tutto il momdo, abbiamo
creato così un mezzo per tener viva una relazione di amicizia dove l'uno sia importante per
l'altro.
Attraverso le parole che ci scrivono, percepiamo tutta la drammaticità e la precarietà con cui ora in maniera più evidente si vive in Angola, a causa dell'aggravarsi della situazione politica e di conseguenza sociale a causa della guerra che infiamma sempre più la terra angolana. Percepiamo inoltre anche tutta la loro passione per la vita e la speranza che hanno di un futuro migliore, tutto questo per noi è una grande provocazione a cui stiamo cercando di dare risposte concrete.
Ci siamo resi disponibili ad incontrare, giovani, bambini ed adulti in scuole e parrocchie per far prendere loro coscienza che al mondo ci sono persone con la nostra stessa dignità, che vivono in condizioni disumane, cercando di comprenderne insieme le cause e le responsabilità che, in qualche maniera, coinvolgono anche noi. Stiamo cercando inoltre, in ragione di una solidarietà che continui nel tempo, di stimolare e promuovere, proposte pensate con gli interessati, che sostengano alcune piccole realtà angolane, come per esempio il gemellaggio tra scuole, il sostegno a distanza, lo sport ed altre iniziative che tengano conto del fatto che l'altro è una persona che non ha solo bisogno di essere nutrita o sfamata, ma anche bisogno di non sentirsi prima di tutto, sola ed abbandonata alla sua povertà.
Le lettere che riceviamo dall'Angola e che arrivano a noi con i mezzi più disparati: persone che viaggiano, missionari, non portano mai richieste di cose o di soldi, se non delle "nostre" fotografie che ricordano i momenti vissuti insieme, ci chiedono di ricordarci di loro, di scrivergli L'uomo non ha bisogno solo del pane per poter vivere, ma anche di un pallone per giocare, di un libro da leggere e soprattutto di sentire che al mondo non è solo .